venerdì 30 settembre 2011

UGO FOSCOLO : BREVE STORIA DELLA CRITICA


La critica all’opera di Ugo Foscolo nasce con Francesco De Sanctis (1817 – Napoli, 1883; è stato uno scrittore, critico letterario, politico, Ministro della Pubblica Istruzione e filosofo. Fu il maggior critico e storico della letteratura italiana nel XIX secolo) il quale dedica al poeta uno studio critico “Parabola della personalità foscoliana”, pubblicato in occasione del trasferimento dei resti del poeta in Santa Croce a Firenze. Il De Sanctis inquadra la storia letteraria del Foscolo nell’ambito del periodo storico nel quale il poeta si formò: Foscolo è definito il primo autore che abbia considerato “l’arte come lavoro psicologico”, lasciando intendere che attraverso la lettura delle sue pagine è possibile cogliere l’evoluzione psicologica, morale ed artistica del poeta, sempre alla luce dei complessi e dolorosi avvenimenti storici che segnarono l’Italia alla fine del 700. Il Foscolo appare sulla scena della storia italiana in un momento in cui essa è percorsa da una profonda ansia di rinnovamento (rivoluzione francese, repubbliche giacobine, impero napoleonico, Congresso di Vienna, insofferenza verso l’ancien regime). Sul piano letterario l’età napoleonica era pervasa da un classicismo imperante che educa gli animi all’eroismo plutarchiano, al culto della Grecia antica e della Roma repubblicana, al culto della libertà, della Patria, dell’eroismo. Per il De Sanctis quello del Foscolo non è soltanto un classicismo retorico (tensione costante all’accuratezza formale), una lezione di bello stile, ma si traduce ma anche in una lezione morale, civile, di patriottismo: al “bello estetico” corrisponde sempre una bellezza etica. La Bellezza per il Foscolo è una sorta di Provvidenza laica che solleva gli uomini dall’originario stato ferino alle più alte forme di civiltà ( vedi “ Le Grazie”).
L’opera giovanile del Foscolo, “Le ultime lettere di Jacolo Ortis”, non riscuote un giudizio favorevole del De Sanctis. Agli occhi del critico, l’Ortis costituisce un sorta di “poesia in prosa” , un romanzo privo della maturità stilistica che caratterizzerà le opere successive; Jacopo è l’immagine del Foscolo giovanile, tutto imbevuto dei nuovi ideali libertari che cerca invano di inserirsi nella società per metterli in atto: al momento della prova, tuttavia, Jacopo-Ugo sperimenta il drammatico urto con la realtà, e soccombe. Jacopo è per il De Sanctis un eroe statico, bloccato in partenza (come statico appare l’intero romanzo), sempre al quinto atto di una tragedia, nel senso che il suicidio avviene per lui come un destino ineluttabile. Il De Sanctis definisce lo stato d’animo che domina il romanzo quello di “un suicidio in permanenza”. Così, dice il De Sanctis, mentre l’Alfieri appare come “il poeta dell’illusione”, il Foscolo rappresenta piuttosto “ il poeta del disinganno”. Da quest’atmosfera di suicidio in permanenza, il Foscolo riuscirà a salvarsi grazie all’ "esercizio della vita” che lo porterà ad uscire dal suo isolamento e a calarsi nella vita in atto, con gli amori e le armi, la sua attività di scrittore, critico, docente.
La poesia del Foscolo, attraverso l’illusione e il successivo il disinganno, si arricchirà nel tempo di un nuovo impeto lirico . Le opere successive all’Ortis, i Sonetti, le Odi e soprattutto Dei Sepolcri, rappresentano un esempio di poesia veramente nuova perché in essa “ideale” e “reale” appaiono mirabilmente fusi. Per F. de Sanctis il culmine della poesia foscoliana si realizza nel carme “Dei Sepolcri”, l'opera della piena maturità artistica, che dà l’avvio non solo ad un profondo rinnovamento della poesia, ma anche alla riscoperta ed al rilancio della coscienza nazionale: «...questa prima voce della nuova lirica ha non so che di sacro, come un Inno: perché infine ricostituire la coscienza è ricostituire nell'anima una religione». Nel carme Dei Sepolcri, dice il De Sanctis, il poeta “sviluppa tutte le sue forze, e in quel grado di verità e di misura che è proprio di un ingegno maturo”.
Al contrario dei Sepolcri, Le Grazie raccolgono discordanti giudizi e consensi critici.
Francesco De Sanctis considerò questo carme “l’ultimo fiore del classicismo italiano”, il segnale di una fase involutiva dell’arte del Foscolo, che appare svuotata del precedente entusiasmo spirituale, totalmente avulsa dalla realtà e volta a celebrare i più vieti e consueti motivi classici (in Francesco De Sanctis, Parabola della personalità foscoliana, da Saggi critici, Bari, Laterza, 1952, III, pp. 87–109).
Il giudizio critico di De Sanctis sull’opera del Foscolo ha influenzato non poco la critica letteraria successiva.
Nella prima metà del 900 per un posto di rilievo nella storia della critica al Foscolo occupa Eugenio Donadoni (Bergamo 1870 – Milano 1924) con il saggio “Ugo Foscolo, pensatore, critico, poeta”. Il Donadoni studia il Foscolo a partire dal contrasto tra le premesse sensistiche di matrice illuministica e le più intime esigenze del suo spirito, tra intelletto e sentimento: se il materialismo meccanicistico conduceva il poeta a conclusioni deterministiche, le esigenze spirituali gli imponevano di ricercare nuove verità assolute, eterne e metafisiche, oltre i limiti imposti dalla ragione. Il Donadoni, dunque, coglie la genesi filosofica e sentimentale del pensiero del Foscolo nella reazione del poeta al materialismo meccanicista. In questo modo nascono “le illusioni” del Foscolo che rappresentano dei valori autentici, un rifugio sicuro dagli assalti della realtà ostile. Il Donadoni considera il Foscolo un anticipatore della poetica romantica anche in ambito estetico. Un giudizio positivo è rivolto dal Donadoni anche alle Grazie; in esse il Donadoni coglie un neoclassicismo intimo e cosciente, specchio di elevati valori etici, un classicismo diverso rispetto a quello puramente convenzionale e decorativo caratterizzante le opere di V. Monti.
Nel corso del ‘900 anche Benedetto Croce ( Pescasseroli 1866 – Napoli, 1952), filosofo, storico, scrittore e politico italiano, principale ideologo del liberalismo) dedica un contributo critico all’opera di U. Foscolo, apparso sulla rivista “ Critica” nel 1922 (“Critica” è una rivista di letteratura, storia e filosofia diretta da B. Croce nella prima metà dl Novecento).
Egli rileva dapprima gli elementi classici e gli elementi romantici della sua personalità, quindi fa propria la tesi del Donadoni che individua nelle “illusioni” le idee forza che sostengono il Foscolo nel superare il pessimismo del razionalismo illuministico. Dalle illusioni, B. Croce fa derivare i 4 motivi fondamentali della poesia del Foscolo: la Morte, l’Eroismo, la Bellezza, l’Arte. Questi motivi, apparsi confusamente nell’ Ortis, spiccano armoniosamente fusi in un’unitaria atmosfera religiosa ed estetica nei Sepolcri e nelle Grazie. Le Grazie sono giudicate positivamente dal Croce come un poema soltanto apparentemente disorganico e frammentario, in realtà unitario per ispirazione e stile. Nel saggio “Intorno alle Grazie” afferma: “E’ raro trovare una poesia più unitaria di quella delle Grazie, di più unitaria ispirazione e stile, una poesia che canta mirabilmente l’incanto della bellezza, l’incanto della poesia e dell’arte”.

Più recentemente, Mario Fubini (Torino 1900-1977) ha condotto un’indagine sulla personalità e sull’arte del Foscolo (Ugo Foscolo: saggi, studi, note), chiarendo che non si può parlare di un pensiero organico del Foscolo e che bisogna individuare il fondamento della sua poesia nelle contraddizioni della sua vita sentimentale, nella sua dialettica psicologica.
Il critico Luigi Russo ( Caltanissetta 1892 –1961 ) rifiuta la contrapposizione tra la poesia dei “Sepolcri” e quella delle “Grazie”, le quali, a parer suo, rivivono i miti dell’amore, della patria, della bellezza, della caducità della vita, anche se innalzati in un’atmosfera di superiore armonia.
Il culmine della poesia foscoliana, secondo l’opinione dello studioso Francesco Flora (Benevento 1891 – Bologna 1962 ), è rappresentato piuttosto dalle “Grazie” che dai “Sepolcri” in quanto è nelle “Grazie” che il Poeta realizza compiutamente la sua aspirazione artistica di calare nella grazia del mito il suo mondo morale e sentimentale.
La critica della seconda metà del Novecento, più che in un’ interpretazione globale del Foscolo, appare impegnata nello studio di aspetti peculiari dell’opera del Foscolo, quali il Foscolo critico, filologo, traduttore e storico, specialmente del periodo inglese, tutti problemi appena sfiorati dalla precedente critica letteraria e che oggi, analizzati e approfonditi, contribuiscono ad una maggiore e articolata conoscenza della personalità e dell’opera del Foscolo.

lunedì 26 settembre 2011

Facciamo il punto su....PROPERZIO (50 a.C.-15 a.C.)

Sesto Properzio fu autore di un Corpus elegiarum (30-15 a.C.), 92 elegie in 4 libri. Poeta doctus, coltivò un ideale di poesia individualistica ed edonistica, una poesia leggera e breve sul modello callimacheo, con costante tendenza all’accuratezza formale.
Properzio fu grande ammiratore della poetica alessandrina , in particolare di Callimaco di Cirene (305 a. C.-240 a.C.) dal quale derivò i contenuti e lo stile delle sue liriche, aderì al circolo di Mecenate i cui maggiori esponenti erano allora Virgilio e Orazio, pur nutrendo numerose riserve sia nei confronti del progetto culturale voluto da Mecenate ( il quale auspicava la composizione di opere - il poema epico storico - in cui predominasse l’impegno civile e la tensione moralistica, in sintonia con le direttive della propaganda di regime e con gli intendimenti moralizzanti di Augusto) , sia nei confronti della politica del Principe.
TEMI POESIA DI PROPERZIO: l’AMORE e l’EROTISMO, IL SERVITIUM AMORIS, LA MITOLOGIA, IL TEMA CIVILE . Le mutate vicende biografiche del poeta (il discidium amoris ) e le nuove esigenze spirituali, il suo desiderio di pace, indussero l’autore ad inserire, accanto al tema erotico, il tema civile che compare già a partire dal III libro del suo Corpus elegiarum. Tra i nuovi temi, ricordiamo inoltre la condanna della corruzione del tempo presente, la condanna delle donne dai costumi dissoluti, l’elogio della grandezza di Roma . La tematica civile si accentuerà nel corso della sua produzione artistica, fino a raggiungere la massima espressione nelle “Elegie romane” (prima parte del IV libro) che celebrano, sul modello dei poemetti eziologici di Callimaco ( gli “Aitia”alessandrini), l’antica storia dell’Urbs attraverso miti legati all’origine di luoghi e di antichi riti religiosi . Il corpus elegiarum di Properzio si conclude con la “regina elegiarum”, un’elegia in forma di carme funerario che, diversamente dai componimenti dei primi due libri, sviluppa il tema della sacralità dell’amore coniugale: in essa la protagonista è l’anima della defunta Cornelia , moglie di L. Emilio Paolo Lepido, che conforta il marito ancora in vita rendendogli testimonianza del proprio amore assoluto e puro, raccomandandogli di sopportare dignitosamente i sacrifici e i dolori della vita, gli oneri della famiglia e dei figli.

PROPERZIO, ELEGIAE I, 1 “Cynthia prima” metro: Distici elegiaci
Cinzia per prima con i sui bellissimi occhietti, conquistò me misero, mai toccato prima da alcuna passione. Allora l’Amore fece abbassare a me ( deiecit mihi) gli occhi dalla costante superbia (genitivo di qualità) e mi schiacciò la testa (pressit caput) con i piedi posti sopra (compl. mezzo / abl. assoluto) finché crudele mi insegnò (me docuit: accusativo della persona e della cosa insegnata) ad odiare le fanciulle caste e a vivere senza alcun giudizio.
v. 7) E ormai questa follia non mi abbandona ( non deficit mihi) da una anno intero, mentre invece sono costretto (cogor) ad avere gli Dei avversi. O Tullo, Milanione non evitando alcuna fatica ( nullos fugiendo: accusativo) vinse (contudit) la crudeltà della dura figlia di Iasio ( patronimico, genitivo con desinenza greca; mito di Milanione e Atalanta). Ora infatti (Milanione) errava, fuori di senno (amens), nelle gole dl Partenio ed andava ad affrontare (ibat videre, con valore finale) le fiere irsute; anche lui, percosso da un colpo (vulnere) della clava di Ileo, ferito (saucius), gemette rivolto alle rupi di Arcadia.
(v.15) Dunque egli poté domare (potuit domuisse: infinito perfetto con valore di infinito pres.) la veloce fanciulla: tanto valgono in amore le preghiere e le azioni fatte rettamente ( bene: avverbio). Quanto a me l’Amore impigrito non escogita alcun espediente ( nullas artes), né ricorda di percorrere (nec meminit ire) come prima, le note vie. Ma voi , alle quali (quibus: dativo di possesso) appartiene l’arte ingannatrice di tirar giù la luna e il compito di compiere riti sacri nei luoghi magici, orsù ( en agendum) cambiate (convertite ) la mente alla mia padrona e fate che ella impallidisca più della mia bocca (ablat. di paragone)!
Allora io potrei credervi (crediderim, cong. perfetto) che voi possiate condurre le stelle e i fiumi (posse ducere et sidera et amnes) con gli incantesimi della donna di Citaia (cioè Medea, famosa per i suoi incantesimi). Ma voi, o amici (aut vos, amici) che tardi (sero) richiamate colui che è caduto, cercate i rimedi (quaerite auxilia) di (per) un cuore non sano. Coraggiosamente noi sopporteremo (patiemur) il ferro e i fuochi crudeli, purché(modo) ci sia la libertà di dire (loqui) tutte quelle cose (quae) che voglia l’ira. Portatemi (ferte, imp.presente) per le estreme genti e per le onde, per dove (qua) nessuna donna conosca (noverit) il mio cammino: restate voi, ai quali il Dio annuì con orecchio favorevole (facili aure) e siate concordi sempre in un amore certo.
(v.33) Quanto a me, la mia Venere prepara (exercet) notti amare e l’Amore inoperoso (Amor vacuus) in nessun tempo viene meno (defit). Io ammonisco, evitate questo male: ciascuno (quemquem) indugi (moretur, cong. presente di moror) nelle proprie passioni, e né cambi il luogo ( si allontani) del suo solito amore. Poiché se qualcuno avrà rivolto (adverterit: fut.anteriore) tardi le sue orecchie ai miei ammonimenti, ahi con quanto dolore ricorderà (referet) le mie parole!

News per la V F

Miei cari, ho pubblicato per voi un nuovo post, ampliato e completo, su "Dei Sepolcri" riguardante anche i quattro "nuclei concettuali" dell'opera. Vi ho inoltre proposto la parafrasi completa del carme, testo che avremo modo di analizzare insieme in classe, scegliendo i passi più significativi... Per domani, martedì 27 settembre, il nostro orario interno delle lezioni rimarrà invariato ( Latino), salvo una breve digressione sul prossimo assegno di italiano.... Mi raccomando, buono studio a tt!

venerdì 23 settembre 2011

U.Foscolo (1778- 1827) , Dei Sepolcri (1807)

“Omnia migrant, omnia commutat Natura et vertere cogit”(Tito Lucrezio Caro,De rerum natura).


PREMESSA

La composizione Dei Sepolcri avviene tra l’estate e l’autunno del 1806. I tempi precisi della sua creazione non ci sono noti con sicurezza, ma possiamo dire con sicurezza che l’opera, nel gennaio 1807, era già stata ultimata. Un’ importanza notevole nella stesura del carme dei Sepolcri ebbe l’editto di Sant-Cloud (1804), che vietava le sepolture private nelle chiese stabilendo che i cimiteri fossero posti al di fuori del perimetro cittadino e che sulle tombe fossero poste lapidi semplici e uguali per tutti. In realtà alla base dell'editto c'era un motivo igienico e anche un motivo politico, derivante dal principio di egualitarismo sancito dalla Rivoluzione francese. Ad ogni modo questa legislazione, che contrastava improvvisamente con una secolare consuetudine riguardante il culto cristiano dei morti, e che aveva suscitato non poche polemiche tra i cattolici, fu estesa all’Italia nel 1806(nei versi 51 e 53 si nota come il Foscolo abbia introdotto nel carme il riferimento attualizzante alle recenti norme legislative).
L’idea di scrivere I Sepolcri è nata in Ugo Foscolo a seguito di un colloquio, avvenuto nel giugno 1806, avuto con l’amico Ippolito Pindemonte (1753-1828) già autore di un poemetto incompiuto “I Cimiteri “ e con la nobildonna veneziana Isabella Teotochi Albrizzi (1760-1836) riguardante il tema della sepoltura. In questa circostanza il poeta, un po’ per simpatia verso la cultura rivoluzionaria nonché per convinzioni materialistiche e laiche, aveva sostenuto la validità della legislazione francese, che invece i suoi due interlocutori osteggiavano recisamente.
Nell’estate dello stesso anno, impossessatosi del tema poetico del Pindemonte e capovolgendo le sue iniziali posizioni, Foscolo compose Dei Sepocri, senza però ritrattare il punto di vista materialistico e laico.
Il carme Dei Sepolcri si compone di 295 versi di endecasillabi sciolti, cioè svincolati da strutture strofiche e da legami di rima. Si trattava di una forma metrica particolarmente diffusa nella poesia neoclassica (vedi già G. Parini, Il Giorno) che con il suo fluire ininterrotto, privo di partizioni strofiche, rispondeva perfettamente al gusto neoclassico per la linea continua e modulata. Inoltre l’endecasillabo sciolto aveva una lunga tradizione letteraria come metro in cui veniva reso, nelle traduzioni, l’esametro della poesia classica; Foscolo tradurrà in esametri “La chioma di Berenice “, il poemetto di Callimaco di Cirene, noto attraverso la traduzione latina di Catullo.

IL CARME DEI SEPOLCRI FU REDATTO NELLA FORMA DI UN’EPISTOLA IN VERSI INDIRIZZATA ALL’AMICO IPPOLITO PINDEMONTE, il quale decise a questo punto di interrompere la stesura dei Cimiteri e , quando l’opera fosco liana fu pubblicata, nel 1807, il Pindemonte rispose con un’epistola in endecasillabi sciolti intitolata anch’essa Dei Sepolcri. Fin dal momento della sua pubblicazione, il carme foscoliano aveva suscitato parere contrastanti tra i lettori: molti intellettuali rimasero coltiti dalla eccessiva complessità del testo, dalla sua STRUTTURA LOGICA E ARGOMENTATIVA, tanto che esso fu definito seccamente da Pietro Giordani “ un fumoso enigma”. Per questa ragione il Foscolo ne fece un sommario, in una lettera indirizzata a “Monsieur Guillon”, pubblicata nel 1807 sul “Giornale italiano”, rispondendo così alle critiche di oscurità e di mancanza di un coerente filo conduttore che un letterato francese, AIMÉ GUILLON (1758-1824) aveva rivolto all’opera di Ugo Foscolo sulla stessa rivista.
 Sulla base del sommario redatto dal foscolo è possibile divider il Carme in QUATTRO SEQUENZE (ciascuna articolata in un certo numero di quadri):
1 FUNZIONE SOGGETTIVA E PRIVATA DEI SEPOLCRI (vv.1-90): giustificazione sentimentale
2 IL CULTO DELLE TOMBE NELLE DIVERSE CIVILTà (vv.91-150) : giustificazione storica
3 FUNZIONE CIVILE DEI SEPOLCRI (vv.151-212) : giustificazione patriottica
4 FUNZIONE POETICA DEI SEPOLCRI (vv.213-295) : giustificazione poetica
L’innovazione apportata nel carme riguarda l’intento dimostrativo, il contenuto etico- civile e didascalico che induce il Foscolo a procedere per argomentazioni ed esempi, secondo una struttura logico-argomentativa, cioè per via filosofica; nel testo è evidente inoltre una fortissima carica attualizzante nel rapporto continuamente stabilito, ora in modo implicito ora in modo esplicito, tra passato e presente.

DEI SEPOLCRI: I NUCLEI CONCETTUALI

Il carme Dei Sepolcri è costituito da 295 endecasillabi sciolti. La metrica del carme foscoliano comprende l’uso di endecasillabi sciolti con un’inedita funzione argomentativa e filosofica. I frequenti enjambements rafforzano il senso di difficoltà e di densità espressiva già comunicato alla sintassi ricercata, ma allo stesso tempo sottolineano il distendersi del pensiero nel corso della versificazione che assume un andamento fluido e ininterrotto. Dunque, anche la metrica partecipa a questa “innovazione” del Foscolo, che ha creato una poesia che non vuol descrive ma piuttosto ragionare.
Il testo e suddivisibile in quattro parti, secondo il suggerimento offerto dallo stesso autore.
1 LA PRIMA SEQUENZA (vv. 1-90) affronta il tema della FUNZIONE SOGGETTIVA E PRIVATA DEI SEPOLCRI, l’utilità delle tombe e dei riti dedicati ai morti. Dal punto di vista materialistico e laico i sepolcri sono inutili e non riscattano, per chi muore, la perdita della vita: da un punto di vista oggettivo essi non possono mutare una condizione irreversibile. D’importanza fondamentale appare invece la funzione che le tombe svolgono dal punto di vista dei valori soggettivi, perché creano una CORRISPONDENZA DI AMOROSI SENSI FRA VIVI E MORTI, segno della sopravvivenza ideale dell’estinto nel ricordo dei vivi, a condizione però che l’estinto abbia lasciato ai suoi una preziosa eredità d’affetti, tale da annullare l’oblio.
La nuova legislazione francese risulta ingiusta agli occhi del Foscolo perché, al fine di cancellare le differenze sociali e sottolineare l’eguaglianza di natura fra gli uomini, nega di offrire il giusto riconoscimento ai meriti dei migliori. Ed è appunto rispetto a ciò che la legge napoleonica sulle sepolture estesa all’Italia con l’Editto di Saint Cloud svela il proprio carattere assolutamente inumano.
2 LA SECONDA SEQUENZA (vv. 91-150) ha per tema IL CULTO DELLE TOMBE COME ISTITUZIONE. Il Foscolo evidenza come la coscienza del culto dei sepolcri sia alla base di tutte le civiltà, anche se esso ha assunto nelle diverse epoche storiche e nei diversi luoghi forme e manifestazioni rituali differenti. L’usanza di seppellire i morti, infatti, nacque nel momento in cui l’umanità uscì dallo stato ferino per avviarsi verso la civiltà. Da allora, dice il F., il culto dei sepolcri ha assunto un carattere sacrale che si è mantenuto per tutti i secoli successivi.
Il Foscolo passa i rassegna i principali riti legati al culto dei morti che si sono manifestati nel tempo: esprime il suo elogio per l’antichità classica durante la quale le sepolture avvenivano in luoghi aperti e verdeggianti e i cimiteri rappresentavano occasioni di incontro affettivo tra vivi e morti ; così avviene anche in Inghilterra dove i cimiteri hanno la funzione di testimonianza degli affetti familiari e delle memorie civili. Altre forme di sepoltura, come quelle proprie dl Medioevo cristiano sono biasimevoli, poiché incutono il terrore della morte.
3 LA TERZA SEQUENZA (vv. 151-212) ha per tema LA FUNZIONE CIVILE DEI SEPOLCRI. Il Foscolo rileva come le tombe dei grandi personaggi (che si sono distinti per magnanimità, per imprese, per testimonianze lasciate ai posteri) hanno una doppia funzione: incitano gli animi a imprese valorose e rendono sacra la terra che li accoglie. Le tombe dei grandi costituiscono la sede della memoria storica: grazie ad esse si conservano i valori della tradizione che formano il carattere di una nazione e allo stesso tempo si mantiene viva la possibilità che quei valori tornino ad operare nel presente. Così risulta evidente di fronte alle tombe dei grandi in Santa Croce a Firenze (Machiavelli, Michelangelo, Galilei, Alfieri) o davanti ai sepolcri dei caduti nella Battaglia di Maratona in Grecia.
4 LA QUARTA SEQUENZA (vv. 213-295) svolge il tema della FUNZIONE POETICA DEI SEPOLCRI.La funzione memoriale e sacrale delle tombe dei grandi fa sì che ad esse si ispirino i poeti di tutti i tempi per celebrare le grandi imprese degli eroi antichi. Alla poesia, la più grande delle illusioni, spetta il compito di rendere sacre per l’eternità le gesta dei grandi eroi; la poesia, tramandando le antiche imprese goriose, si fa eternatrice della memoria storica che potrà sopravvivere nei posteri anche quando i sepolcri saranno distrutti dalla inesorabile forza del destino di dissoluzione che travolge tutte le cose umane.

mercoledì 21 settembre 2011

UGO FOSCOLO: IL PENSIERO

LA PERSONALITÀ DEL FOSCOLO fu sempre animata dal rapporto oppositivo, dal conflitto tra l’aspirazione ad una serenità interiore assoluta e l’abbandono agli impulsi della passione e del sentimento. Nell’abbandono agli impulsi dello spirito, nella sua perenne inquietudine interiore possiamo cogliere la nuova sensibilità romantica ; nello sforzo di ricercare una dimensione armonica, di equilibrio e dominio dei sentimenti è evidente la componente classicistica. Soltanto nelle sue opere il poeta riuscì a sanare questa dicotomia: le poesie del Foscolo rappresentano , infatti, un insuperabile modello di perfetto equilibrio tra contenuto (romantico) e forma (neoclassica) .
Il Foscolo, nella sua concezione del mondo e della vita segue le dottrine materialistiche del 700, secondo le quali l’universo e tutta la materia sensibile sono il frutto dell’incessante processo di trasformazione della materia. La visione materialistica e meccanicistica della realtà porta il poeta a considerare l’uomo come prigioniero della materia: l’uomo, compiuto il suo ciclo vitale, ritorna con la morte al nulla eterno. La ragione, entusiasticamente esaltata dagli illuministi come fugatrice di tenebre ed indagatrice della verità, da sola non è sufficiente per condurre l’uomo alla conquista della felicità; anzi, spesso è proprio la ragione a far comprendere all’uomo i limiti angusti della propria esistenza, a renderlo cosciente nel dolore della frattura insanabile tra le illusioni della giovinezza e il reale. E’ questo il momento più acuto del pessimismo foscoliano, rappresentato idealmente dal romanzo giovanile, l’Ortis e dal suicidio del suo protagonista, Jacopo: un suicidio che è allo stesso tempo protesta ed eroica liberazione: liberazione dal dolore, protesta contro la Natura che ha destinato l’uomo all’infelicità.
U. Foscolo, tuttavia , non soccombe al pessimismo che alimenta la prima fase della sua produzione artistica; sebbene i risultati della ragione e la formazione filosofica illuministica conducano l’autore ad una concezione materialistica della vita, i bisogni dello spirito inducono il poeta a trascendere la visione puramente materialistica dell’universo, in un perenne conflitto tra ragione e spirito, tipicamente romantico. La reazione del Foscolo si traduce nella creazione di IDEALI SUPREMI DI VITA, nella fede in VALORI UNIVERSALI, laici ed immanenti: LA BELLEZZA, L’AMORE, LA LIBERTA, LA PATRIA, L’EROISMO, L’ARTE, LA POESIA. Gli ideali foscoliani hanno una vera e propria concretezza nella dimensione morale del poeta, essi costituiscono la fede di cui si serve costantemente il poeta per superare con virile dignità i limiti angusti della ragione, per trascendere le contraddittorietà della realtà contingente. Nel conflitto tra reale /ideale, dinanzi all’urto con la realtà, l’uomo risulterebbe sconfitto senza il ricorso alle ILLUSIONI. LE ILLUSIONI RAPPRESENTANO PER IL FOSCOLO DEI MITI SALVIFICI, DEI VALORI ASSOLUTI CAPACI DI SFIDARE L’ETERNITÀ E LA MORTE, IL NULLA ETERNO: attraverso la POESIA, la più grande delle illusioni, perfino la morte, intesa come fine del rapporto tra le categorie logiche SPAZIO-TEMPO, risulta vana. LA POESIA E’ ETERNATRICE dei sentimenti umani e l’uomo mortale acquista gloria e immortalità nel ricordo dei posteri (concezione della poesia esternatrice, che conferisce gloria e immortalità: vedi cultura classica greco-romana; civiltà umanistico-rinascimentale).
Nella sua visione morale-artistica il Foscolo risente inevitabilmente della componente storica, sempre presente nelle sue opere. Non a caso FRANCESCO DE SANCTIS ( scrittore, storico della Letteratura e critico letterario, Morra Irpina, 28 marzo 1817 – Napoli, 29 dicembre 1883), in un suo contributo critico, definisce Ugo Foscolo il primo autore che abbia considerato “l’arte come lavoro psicologico”, lasciando intendere che attraverso la lettura delle sue pagine è possibile cogliere l’evoluzione psicologica, morale ed artistica del poeta, sempre alla luce dei complessi e dolorosi avvenimenti storici che segnarono l’Italia alla fine del 700. Il Foscolo vive dei medesimi ideali che avevano animato l’Alfieri, ma diversamente sperimenta l’urto con la triste e deludente realtà del tempo (vedi Napoleone Bonaparte). Così, dice il De Sanctis, mentre l’Alfieri appare come “il poeta dell’illusione”, il Foscolo rappresenta piuttosto “ il poeta del disinganno”. Ed è a partire dall’illusione, attraverso il disinganno, che il Foscolo giunge al pieno contatto con la realtà in tutte le sue sfaccettature; grazie a questo "esercizio della vita” , la poesia del Foscolo si arricchirà nel tempo di un nuovo impeto lirico culminante nei Sepolcri: in questo carme , conclude il De Sanctis il poeta “sviluppa tutte le sue forze, e in quel grado di verità e di misura che è proprio di un ingegno maturo” (in Francesco De Sanctis, Parabola della personalità fosco liana, da Saggi critici, Bari, Laterza, 1952, III, pp. 87–109).

APPUNTI A CONCLUSIONE DELLE “ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS”


Le Ultime lettere di Jacopo Ortis hanno per sottotitolo i versi danteschi : “Libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta (Purg. I, vv.71-72). Questi versi rivelano la natura vera del suicidio di Jacopo Ortis: esso non è negazione della vita, ma è, nella concezione alfieriana, l’affermazione di una suprema libertà interiore che appare come la più alta forma denuncia contro la società del tempo. Il romanzo, così come i primi 8 Sonetti pubblicati a Pisa nel 1802, risente della forte COMPONENTE ALFIERIANA: l’accentuato autobiografismo ed il suo esprimersi mediante contrapposizioni (cuore-ragione; individualità del poeta- società), l’ansia esistenziale, il concetto dell’eroe alfieriano avvolto nella solitudine e sdegnoso della banale quotidianità, il senso dell’immortalità attraverso l’eroicità
 Particolare rilievo all’interno dell’Ortis assume LA NATURA. Nel romanzo assistiamo ad una profonda compenetrazione di spirito tra l’elemento paesaggistico e l’uomo, secondo la particolare caratteristica del classico romanzo dell’ 800; nella tendenza a rendere la Natura partecipe dei sentimenti umani, c’è l’evidente influsso della poesia ossianica e della poesia sepolcrale inglese allora di moda con T. Gray (Elegia scritta in un cimitero di campagna, 1750), ed Edward Young (Pensieri notturni sulla vita, la morte e l’immortalità, 1742-45). LA NATURA IN FOSCOLO SI ANIMA, PRENDE VITA E SI CARICA DELLO STATO D’ANIMO DEL PERSONAGGIO, ESSA TRADUCE I SENTIMENTI PIÙ INTIMI DELL’AUTORE: la Natura, seppur descritta dal Foscolo come DATO REALE, concreto e tangibile, subisce un processo di trasfigurazione ed idealizzazione, fino a tradurre lo stato sentimentale del poeta stesso. In questo modo la realtà si libera della sua connotazione materiale e fisica, trascende il mondo sensibile (la realtà fenomenica) per proiettarsi in una sfera assoluta (il Noumeno). Questa costante tensione all’infinito costituisce il fondamento della poetica del Romanticismo: il Romanticismo non rinnega la realtà sensibile, ma la trascende e la nobilita in un continuo slancio ideale. La piena serenità interiore si traduce nella piena e assoluta armonia dell’individuo con il TUTTO .
 A LIVELLO STILISTICO l’opera appare alquanto disomogenea, con 2 livelli di scrittura: un livello referenziale ( tono colloquiale, meditativo, tipico dell’epistola ) e un livello declamatorio, con toni concitati, con enfasi declamatoria. Lo stesso Foscolo, a proposito dello stile vario dell’”Ortis” dirà che la varietà stilistica presente nel romanzo è compensata dall’impianto tematico unitario (tema politico-amoroso) e dalla presenza dell’IO NARRANTE.
 DALLA CRITICA LETTERARIA, l’Ortis è stato letto a partire da FRANCESCO DE SANCTIS, il quale definisce il romanzo giovanile del F. “poesia in prosa” , privo della maturità stilistica che caratterizzerà le opere successive; Jacopo è un eroe statico (come statico appare l’intero romanzo), sempre al 5 atto di una tragedia, nel senso che il suicidio avviene per lui come un destino ineluttabile.

AVVISO AGLI ALUNNI


Comunico agli alunni che le registrazioni sul blog ed eventuali richieste-commenti devono essere riconducibili all'emittente, quindi all'atto della registrazione è opportuno inserire il proprio nome o, in alternativa, una foto tale da consentire il riconoscimento dell'interlocutore. Invito pertanto gli alunni già iscritti e non riconoscibili a modificare quanto prima i rispettivi profili. La prof

martedì 20 settembre 2011

REPETITA IUVANT: ANALISI TESTO POETICO

A) INFORMAZIONI SOMMARIE SUL TESTO (titolo, autore, opera da cui è tratto il testo, anno composizione).

B) PIANO LINGUISTICO ESPRESSIVO: Livello metrico ritmico (versi, strofe, tipo componimento, schema metrico).
(PIANO SIGNIFICANTE) Livello stilistico-retorico (parole chiave, tipo di linguaggio utilizzato, stile paratattico/ ipotattico, fig. retoriche).

C) PIANO DEL CONTENUTO DENOTATIVO/ REFERENZIALE E CONNOTATIVO: parafrasi, temi dominanti, contestualizzazione, conclusione.
(PIANO SIGNIFICATO)

Ciascuna testo letterario va interpretato, secondo i principi della moderna critica letteraria ispirati allo Strutturalismo e alla Teoria del segno linguistico di F. de Saussurre, come un insieme di "segni" che devono essere decodificati in sede interpretativa, al fine di cogliere il significato denotativo e connotativo che il testo vuole esprimere.
Il segno linguistico è, infatti, una realtà polisemica, una “realtà bifacciale”, un “concetto dicotomico” composto da un significante e da un significato: il significante rappresenta l’aspetto esteriore e formale del segno, l’insieme degli artifici comunicativi dell’opera (fonologia, lessico, verso, strofa, figure retoriche); il significato si riferisce al contenuto denotativo e connotativo dell’opera, al messaggio che il testo si propone di trasmettere attraverso il piano del significante.
- In tal senso, il primo campo d’indagine nell’analisi di un testo letterario è il PIANO LINGUISTICO-ESPRESSIVO che riguarda le manifestazioni fonologiche e le nozioni di verso, strofa, rima, metro, ritmo, figure retoriche.
- Il secondo campo d’indagine riguarda il PIANO DEL SIGNIFICATO , cioè il contenuto referenziale e denotativo del testo nella sua immediata rappresentazione.
Soltanto attraverso lo studio del significante e del significato è possibile giungere ad una corretta ed esaustiva decodificazione del testo letterario. Nell’esame del testo proposto terremo conto di quanto finora delineato al fine di non limitarci ad un'indagine che potrebbe risultare superficiale e poco incisiva sul piano didattico.

FIGURE RETORICHE : metriche, foniche, sintattiche, semantiche

METRICHE: Afèresi:Presenta segno grafico‘: “là ‘ve cantando..”; Sincope, Apocope:caduta sillaba fine parola. “veder, cantar,”; Prostesi, Epentesi, Epìtesi o Paragòge (Aggiunta di sillaba); Tmèsi: divisione di 1 parola in 2 parti, delle quali la 1 è posta alla fine del verso, l’altra all’inizio o a metà del verso successivo “ tra gli argini su cui mucche tranquilla / mente pascolano” G.Pascoli; Dieresi (dittongo sciolto in iato), Sineresi (2 vocali aspre in 1 sillaba); Sinalèfe (fondere ultima vocale di 1 parola con vocale inizio. Senz’apostrof); Dialèfe, Elisione ’ (eliminazione vocale finale di parola dinanzi a parola iniziante per vocale. Presenta.segno grafico).
FONICHE: Onomatopea, Allitterazione (iterazione fonica), Paronomàsia: accostamento di 2 parole consuono simile ma con significato diverso “ma sedendo e mirando, interminati/spazi di là da quella...G.Leopardi, L’Infinito. “I’ fui per ritornar più volte volto” Dante, Inf. c.I,v.36.
SINTATTICHE: anafora; ellissi; enumerazione per asindet-polisindet/climax; parallelismo; inversione (anastrofe; ipèrbato: separazione gruppo sintattico con l’inserimento di 1 o più lessemi; chiasmo); Ripetizione (figura etimologica, anadiplosi, poliptòto); Ipàllage: riferire ad un termine un aggettivo che andrebbe riferito ad altro termine "Ma io a voi deluse le palme tendo", U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni; “cauti passi” G.Pascoli, Le ciaramelle, v.12. Enàllage: parte del discorso con funzione di altra “sbocciasti improvviso (improvvisamente) G.Pascoli, Il sogno della vergine; Anacoluto: costrutto sintattico con cambio di soggetto; Apostrofe:deviazione durante un’esposizione per rivolgersi a qualcuno); Esclamazione : esprimere con enfasi un concetto in forma esclamativa “Guai a voi, anime prave!/non isperate mai veder lo cielo!”Dante, Inf. c.III.
SEMANTICHE: Antonomasia: sostituzione di un nome con una proprietà che gli appartiene“il divino poeta”=Dante; Perìfrasi; Eufemismo: uso di parole o di perifrasi per attenuare il carico espressivo del discorso “Forse tu fra plebei tumulti guardi/vagolando, ove dorma il sacro capo/ del tuo Parini” U.Foscolo, Dei Sepolcri, vv 70-72 ; Ipèrbole : affermazione esagerata per esprimere un concetto “ho sceso, dandoti il braccio almeno un milione di scale, E.Montale”; Similitudine; Metafora; Analogia; Sinestesìa; Metonìmia: contenete-contenuto/ materiale-oggetto/ effetto-causa; Sineddoche: parte per il tutto; Personificazione; Antìtesi: esposizione di concetti opposti; Ossimoro: unione di parole con signif opposto; Litòte: affermare un concetto negando il contrario “non senza inganno”; Dittologia:uso di 2 vocaboli di sign affine legati da congiunzione “solo e pensoso..”F.Petrarca; Endìadi: esprimere 1 concetto con 2 parole in sostituzione di un unico sostant accompagnato da un aggettivo o da un complemento“vedo splendere la luce e il sole /vedo splendere la luce del sole”; Zèugma: far dipendere da 1 solo termine 2 parole di cui una soltanto si accorda logicamente ad esso “parlare e lagrimar vedrai insieme- Dante,Inf. XXXIII, v.9”.


IL VERSO: può essere piano, sdrucciolo o tronco; raramente bisdrucciolo
Bisillabo; trisillabo(ha un solo ictus sulla 2^sillaba); quadrisillabo( ha 2 ictus fissi sulla 1^e 3^sillaba); quinario ( ha 2 ictus di cui 1 fisso sulla 4^ sillaba), senario ( ha 2 ictus fissi, sulla 2^ e 5^ sillaba), settenario ( è uno dei versi più usati, ha un ictus fisso sulla 6^sillaba), ottonario (ictus fisso sulla 3^ sillaba), novenario ( ictus fissi sulla 2^,5^, 8^ sill), decasillabo (ictus sulla 3^,6^,9^ sillaba), endecasillabo ( è il verso maggiormente usato nella poesia italiana; presenta un ictus fisso sulla 10^sillaba e diversi accenti mobili, perlomeno sulla sulla 4^, 6^, 7^, 8^ sillaba) dodecasillabo( doppio senario).

LA RIMA
Rima baciata(AA), alternata (ABAB); incrociata o chiusa(ABBA); incatenata o terza rima(ABA BCB CDC), invertita(ABC ACB); interna: collega 2 parole con identità fonetica, di cui 1 è interna al verso; rima al mezzo: collega 2 parole con identità fonetica, di cui una cade a metà verso (emistichio), versi sciolti: non sono legati da alcuno schema di rima; sono entrati in uso nell’800 e caratterizzano la poesia moderna; assonanza e consonanza; rima siciliana (in cui la E chiusa rima con la I, la O chiusa rima con la U)
LA STROFA
Distico (2 versi a rima baciata AA), Terzina (terza rima), Quartina, Sestina, Ottava ( strofa 8 versi: generalmente i primi 6 versi in rima alternata, ultimi 2 rima baciata. Tipica strofa dei poemi epico-cavallereschi); Stanza [costituita da versi endecasillabi e settenari. Sempre suddivisa in 2 settori: Fronte (1°Piede, 2°Piede, che rimano tra loro. Ciascun Piede può variare da 1 a 4 versi), Sirma ( 1^Volta, 2^Volta, rigidamente rimate). Tra la Fronte e la Sirma può trovarsi 1 verso che rima con l’ultimo verso della Fronte, detto: Chiave; le stanze di una Canzone possono essere “unissonanti”(stesso schema metrico e stessa rima) oppure “dissonanti o singolari” (stesso schema mtrico, ma con rima diversa); A termine della Canzone può trovarsi una strofa detta "Congedo" o "Commiato"; Strofa libera ( numero di versi variabile, schema metrico variabile, rime senza uno schema fisso ).
TIPI DI COMPONIMENTO
Sonetto ( 2 quartine rima alternata o chiusa, 2 terzine rima incatenata o invertita o ripetuta); Canzone ( componimento tipico della letteratura romanza medievale. Composta da Strofe dette Stanze, tutte identiche, cioè con lo stesso numero di versi e con lo stesso schema metrico); Ballata(comp di origine medievale destinato alla musica e danza.Composta da Stanze, alternate da brevi strofe sempre uguali dette “Ritornelli” o “Riprese”); Lauda (comp. in lingua volgare di orig medievale,a carattere popolare, con accompagnamento musicale. A livello metrico la Lauda è identica alla Ballata, ma il contenuto è a carattere religioso. Primo es.Lauda inter pervenuta: Laudes Creaturarum); Ode (derivata dalla Canzone, con strofe brevi di numero variabile di versi ed eliminando la “Chiave”) Madrigale(componimento costituito da strofe di 3 versi, endecasillabi o settenari, rimati); Carme ( componimento in versi endecasillabi).

L' ETA’ DI CESARE ( 78-44 a. C. )

Per età di Cesare, intendiamo convenzionalmente l'ultima fase della Repubblica romana, un periodo travagliato, ricco di rivolgimenti, conflitti e trasformazioni sociali che si concluse, attraverso la breve dittatura di Cesare (45-44 a. C.), con la conquista del potere da parte di Ottaviano Augusto (31 a. C.: battaglia di Azio contro Marco Antonio) e con l'instaurazione di un nuovo regime, monarchico non di nome ma di fatto. Il periodo in cui Giulio Cesare fu protagonista sulla scena politica romana va dal 60 a.C., anno del primo triumvirato, al 44 a. C., l'anno della sua morte.
Tuttavia, in ambito storico-politico ma anche artistico-letterario, l'epoca che va sotto il nome di “Età di Cesare” ha inizio circa trent'anni prima, a partire dagli anni della I GUERRA CIVILE A ROMA (88-82 a. C.) a cui fece seguito la DITTATURA DI SILLA (82-79 a. C.).
Un elemento fondamentale nel quadro politico dell’età di Cesare è il contrasto fra la fazione che Cicerone chiama degli Optimates (ottimati: i conservatori repubblicani), e quella dei Populares (i democratici). Molto in generale, possiamo dire che i conservatori difendevano i privilegi dei ceti più elevati economicamente e socialmente, in particolare dell'aristocrazia senatoria, gelosa di custodire gli antichi privilegi istituzionali, mentre i «Populares» facevano leva sul malcontento di chi era escluso o tenuto ai margini della gestione del potere, per proporre mutamenti e innovazioni. All'attaccamento alla tradizione e ai valori del mos maiorum, di cui i conservatori si propugnavano difensori e sostenitori, si contrapponeva, da parte dei «populares», una consapevolezza più chiara e più spregiudicata della necessità di modificare l'assetto politico e costituzionale per adeguarlo alle grandi trasformazioni economiche e sociali conseguenti all'espansione dell'impero romano. Tali trasformazioni avevano provocato, infatti, la rottura degli equilibri preesistenti, rottura assai pericolosa per le istituzioni. Le strutture dello Stato, formatesi e consolidatesi quando la potenza di Roma era limitata ad un territorio relativamente ristretto, non erano più adeguate ad un vastissimo dominio che si estendeva dalla Spagna all'Asia Minore, all'Africa settentrionale.
• PRIMA GUERRA CIVILE A ROMA TRA GAIO MARIO E LUCIO CORNELIO SILLA (88-82 a. C.)
• DITTATURA DI LUCIO CORNELIO SILLA : 82-79 a. C
• I TRIUMVIRATO (60-53 a.C) : GAIO GIULIO CESARE –MARCO LICINIO CRASSO- GNEO POMPEO
• II GUERRA CIVILE TRA CESARE E POMPEO (49-48 a.C.) Vittorie di Cesare contro i Pompeiani a Farsàlo (48 a. C.), a Tapso (46 a. C.) e Munda (45 a.C.)
• DITTATURA DI CESARE : 45-44 a.C.
• II TRIUMVIRATO : 43 a. C: MARCO ANTONIO - EMILIO LEPIDO - G.CESARE OTTAVIANO
(Proclamarono il Divus Iulius; Liste di proscrizione: assassinio di M.T.Cicerone a Formia / Dicembre 43 a. C.)
• BATTAGLIA DI FILIPPI 42 a.C.: MARCO ANTONIO E OTTAVIANO CONTRO I CESARICIDI
• BATTAGLIA DI AZIO (Grecia) 31 a.C. : OTTAVIANO CONTRO MARCO ANTONIO – CLEOPATRA / Assedio di Alessandria d’Egitto, suicidio di Antonio e Cleopatra (30 a. C.)
• IMPERO DI AUGUSTO (27 a. C.-14 d.C.)
Nell’età di Cesare, Roma è pervasa dalla cultura greca, già fortemente presente in Italia fin dal II sec. a. C.,( basti ricordare i provvedimenti di bando emanati contro i filosofi greci giudicati corruttori, nel 173, nel 161 e nel 155 a. C.; ricordiamo anche l’impegno di Catone il Censore -234-149 a. C.- a difesa dei costumi della romanità) che apre nuovi percorsi tematici e stilistici alla letteratura latina. A Roma si diffondono nuovi costumi sociali e nuovi ideali di vita: la vecchia società rude e sobria, fedele alle antiche istituzioni e ai principi etici del mos maiorum, ha ceduto il posto ad una società nuova e culturalmente eterogenea, frutto di un vastissimo impero che comprendeva popoli diversi per razza e cultura; inoltre le ingenti ricchezze pervenute a Roma con le guerre di conquista avevano favorito la nascita, nella classe dirigente romana, di nuove esigenze e di nuovi stili di vita di impronta ellenististica.
La cultura e l’arte dell’età di Cesare (78-44 a. C.) sono, dunque, il riflesso di una società in piena trasformazione, dominata da un contesto politico quanto mai difficile e convulso.
Così, come sorgono e si alternano sullo scenario politico grandi personalità : Gaio Mario, L.C. Silla, G.Cesare, Gneo Pompeo, M. T. Cicerone, così fioriscono autorevoli individualità artistiche nonché nuove tendenze letterarie e filosofiche.

sabato 17 settembre 2011

FORUM


QUESTO POST SARA' IL CONTENITORE PER I NOSTRI INTERVENTI. UTILIZZANDO LA FUNZIONE COMMENTO CIASCUNO PUO' ESPRIMERE LA PROPRIA OPINIONE, FORMULARE RICHIESTE....INTERAGIRE. CORAGGIO RAGAZZI, VI ASPETTO NUMEROSI.

venerdì 16 settembre 2011

UGO FOSCOLO (1778-1827)

UGO FOSCOLO (1778-1827), PARINI (1729-1799) ALFIERI (1740-1803)
Ugo Foscolo nasce Zante (Zacinto) da Diamantina Spathis ed Andrea, di famiglia veneziana. La sua biografia è quella di un anticonformista, del tutto antitetica a quella tradizionale del letterato italiano, servile e cortigiano. Per trovarne una analoga bisogna risalire a Dante Alighieri, perché dal Petrarca al Monti possiamo dire che quasi tutti i letterati per ragioni storiche siano stati al servizio dei potenti. Il nome di battesimo era Niccolò, mutato in Ugo in onore di Ugo di Bassville (giornalista e diplomatico francese, rivoluzionario + 1793; vedi la “Basvilliana” di Vincenzo Monti). Studiò dapprima a Zante, poi a Spalato, finché, a seguito della morte del padre, si trasferì a Venezia dove proseguì gli studi letterari presso l’università di Padova; altri eventi luttuosi segnarono profondamente la vita del Foscolo, contribuendo ad accentuare la sua indole già inquieta, travagliata, pessimista, solitaria e sprezzante: tra questi ricordiamo, in particolare, la morte del fratello Giovanni, suicida per debiti di gioco nel 1801.
 A Venezia si distingue per le sue idee democratiche e spregiudicate, così divenuto inviso al governo conservatore della Republica di Venezia, fugge sui colli Euganei. Alla notizia della discesa di Napoleone Bonaparte in Italia (1796), il poeta, entusiasta degli ideali rivoluzionari, si reca a Bologna (divenuta parte della Repubblica giacobina cispadana) dove si arruola tra i cacciatori a cavallo: è di questo periodo la composizione dell’ “Ode a Bonaparte liberatore”.
 Caduta la Repubblica oligarchica veneta, il Foscolo può finalmente rientrare in patria e collaborare alla costituzione della nuova municipalità giacobina. Tuttavia, nel 1797 viene stipulato il TRATTATO DI CAMPOFORMIO che prevedeva la cessione di Venezia all’Austria: Il Foscolo, amareggiato dalla politica napoleonica, abbandona nuovamente Venezia per riparare a Milano. A questo periodo risale la stesura del suo romanzo epistolare a carattere autobiografico “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” (1798; 1802; 1816; 1817)
 Seppur deluso, nel 1799 tornò a combattere al fianco dei Francesi, partecipando anche a numerose azioni militari tra l’Italia e la Francia: le truppe napoleoniche apparivano ancora, agli occhi del poeta, promotrici degli ideali di libertà della Rivoluzione, contrapposti all’assolutismo dell’ ancien regime. Mentre è in Francia, a seguito dell’esercito napoleonico, ha una relazione con l’inglese Fanny Hamilton, da cui nascerà Floriana,la giovane fanciulla che consolerà gli ultimi anni della sua vita.
 Nel 1806 rientra in Italia, a Milano: qui visita Giulia Beccaria, Ippolito Pindemonte, A.Manzoni; scrive il carme Dei Sepolcri, 295 endecasillabi sciolti, pubblicati nel 1807. L’occasione per la composizione del carme è l’Editto di saint Cloud, entrato in vigore in Francia nel 1804 ed esteso all’Italia nel 1806.
 Nel 1814, dopo a caduta di Napoleone (Lipsia 1813; Waterloo 1814), Foscolo è invitato dall’Austria a collaborare con la nuova amministrazione, in particolare gli è offerta la possibilità di dirigere una rivista letteraria che si chiamerà “Biblioteca italiana”. Il foscolo, per non giurare fedeltà all’Austria, va in esilio a Zurigo, poi a Londra.
 A Londra (1816) il poeta svolge un’intensa attività di critico letterario, collaborando alla stampa inglese e protetto da alcuni aristocratici che lo apprezzarono per la sua fama di letterato e oppositore di Napoleone; successivamente, l’elevato tenore di vita che il poeta si sforzava di condurre determinò crescenti difficoltà economiche : così, perseguitato dai creditori, U. Foscolo morì nel 1827 povero e ammalato in un sobborgo di Londra.
 1871 Le spoglie del Foscolo vengono condotte in S.Croce a Firenze
OPERE
LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS
LE POESIE
DEI SEPOLCRI
LE GRAZIE
NOTIZIA INTORNO A DIDIMO CHIERICO
LE TRAGEDIE
( sul modello alfieriano)
La personalità del Foscolo fu sempre animata dal rapporto oppositivo, dal conflitto tra l’aspirazione ad una serenità interiore assoluta, e l’abbandono agli impulsi della passione e del sentimento. Nell’abbandono agli impulsi dello spirito, nella sua perenne inquietudine interiore possiamo cogliere la nuova sensibilità romantica ; nello sforzo di ricercare una dimensione armonica, di equilibrio e dominio dei sentimenti è evidente la componente classicistica. Soltanto nelle sue opere il poeta riuscì a sanare questa dicotomia: le poesie del Foscolo rappresentano , infatti, un insuperabile modello di perfetto equilibrio tra contenuto (romantico) e forma (neoclassica) .
La sua formazione culturale risentì dello studio dei classici latini, greci, italiani nonché della lettura degli autori moderni, sia italiani: G.Parini, V.Alfieri, Vincenzo Monti, Melchiorre Cesarotti (traduttore dell’elegia funebre di T.Gray e dei Canti di Ossian dello scrittore inglese James Macpherson), sia stranieri: Edward Young, Thomas Gray, i Canti di Ossian, Laurence Sterne, J. J. Rousseau.


LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS (1798-1802, 1816,1817)
Le ultime lettere di Jacopo Ortis, opera giovanile del Foscolo, sono un romanzo epistolare, un genere letterario assai in voga nella seconda metà del Settecento allorché, nel clima culturale preromantico, la lettera meglio si prestava ad esprimere stati d’animo ed effusioni sentimentali; la forma epistolare del romanzo assolve anche ad una funzione centrale per l’economia strutturale dell’opera, sia a livello di contenuto che di stile: essa consente all’opera di assumere un carattere autobiografico, sotto forma di appassionata confessione ad un amico fraterno e solidale; la forma epistolare è inoltre un espediente stilistico che trasmette l’illusione di una stesura dei testi che compongo la raccolta in tempo reale, nel momento in cui gli eventi narrati accadono, in modo da far coincidere il Tempo della Storia con il Tempo del Racconto.
L’Ortis rappresenta il primo romanzo moderno in lingua italiana, il primo modello di romanzo psicologico.
All’indomani del trattato di Campoformio (1797) con il quale il liberatore Napoleone ha ceduto Venezia all’Austria in cambio della Lombardia, Jacopo Ortis, che è un giovane di idee liberali, per sfuggire alle prime persecuzioni del governo austriaco, lascia Venezia e si rifugia sui colli Eugànei, qui conosce Tresa, che vive col padre (il signor T), anche lui profugo politico, e con una sorella piccola, Isabellina, e se ne innamora profondamente. Ma la fanciulla è già promessa sposa ad un altro, Odoardo, un giovane serio, di buona posizione economica e sociale, ma spiritualmente arido. Si tratta di un fidanzamento di convenienza, combinato dal padre di Teresa, ma osteggiato dalla madre, che, per non rendersi complice dell’infelicità della figlia, ha abbandonato la famiglia e vive lontano con una sua sorella. Jacopo, anche se ha la certezza di essere contraccambiato da Teresa, si accorge dell’assurdità del suo amore soprattutto per ragioni politiche, perché si tratta di tempi tristi che scoraggiano il matrimonio. Per liberarsi dal tormento, lascia i colli Eugànei e viaggia per alcune città, Bologna, Firenze, Siena, Milano, ecc. Quando apprende che Teresa si è sposata con Odoardo, corre a Venezia per salutare la madre, quindi ritorna sui colli Eugànei, dove si uccide pugnalandosi al cuore.
Del romanzo abbiamo ben 4 edizioni, anche se le principali sono le prime due : Bologna 1798, Milano 1802, Zurigo 1816, Londra 1817
I modelli letterari per la composizione dell’Ortis sono da considerarsi i “Dolori del giovane Werther” di Goethe(1774), la Nouvelle Eloise di J.J. Rousseau, ma anche i romanzi epistolari di Richardson, Pamela , Clarissa.
La struttura dell’opera è organizzata in forma epistolare: il lettore ricostruisce la storia attraverso le lettere inviate dal protagonista , Jacopo Ortis ad un suo amico, Lorenzo Alderani che risulta essere il curatore della raccolta. Le lettere, datate, coprono un arco temporale che va dall’ 11 ottobre 1797 al 25 marzo 1799.
Il cognome Ortis è quello di un giovane studente universitario di Padova, Gerolamo Ortis, morto suicida per motivi sconosciuti; Il nome Jacopo è quello di Rousseau; Lorenzo Alderani, al quale sono indirizzate quasi tutte le lettere di Jacopo, è il poeta Giovanni Battista Niccolini, amico del Foscolo. Teresa originariamente coincideva con una fanciulla amata realmente dal poeta, Laura; successivamente in essa confluirono amori appassionati e successivi del poeta: Isabella Teotochi Albrizzi, Teresa Pikler-Monti, Antonietta Fagnani-Atrese, Isabella Roncioni, che successivamente il poeta indicò come la sola Teresa dell’Ortis.
Il protagonista dell’opera, Jacopo Ortis, è la proiezione del poeta stesso: egli rappresenta l’emblema dell’eroe romantico, giovane e positivo, idealista e generoso, pervaso da passioni irrealizzabili che lo collocano necessariamente in una condizione di emarginazione e di solitudine. E’ evidente che il protagonista , presentato come eroe idealizzato in un mondo cinico, nel quale non c’è posto per ideali di solidarietà e giustizia sociale, sia destinato a soccombere. L’antagonista, Odoardo, un personaggio freddo, calcolatore e mediocre assume le caratteristiche del perfetto antieroe, simbolo di una società borghese arida e priva di slanci ideali, interessata esclusivamente all’ascesa economica.
I temi principali dell’Ortis sono, dunque, la passione politica e la passione amorosa: il protagonista si uccide non per nichilismo, ma per amore della Patria e della donna. Entrambi i motivi esprimono i segni evidenti della nascente sensibilità romantica. Jacopo è l’uomo nuovo che con il suo gesto estermo esprime con forza il proprio disagio nel mondo.

 L‘opera ha per sottotitolo i versi danteschi :”Libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta (Purg. I, vv.71-72). Questi versi rivelano la natura vera del suicidio di Jacopo Ortis: esso non è negazione della vita, ma è, nella concezione alfieriana, l’affermazione di una suprema libertà interiore che appare come la più alta forma denuncia contro la società del tempo.

martedì 13 settembre 2011

POETI ELEGIACI IN ETA’ DI CESARE (78-44 a. C.) e di AUGUSTO (27-14 d.C): TIBULLO (50 a.C.-19 a.C.), PROPERZIO (50 a.C.-15 a.C)

L’Elegia è un genere letterario poetico composto in Distici elegiaci ( coppia di versi alternati da un esametro e da un pentametro). Le origini del’elegia vanno ricercate, come avviene spesso per altri generi letterari, in Grecia: qui essa conobbe una fioritura notevole in età ellenistica, privilegiando  il tema erotico e quello mitologico. Il maggior esponente del genere elegiaco in età ellenistica è Callimaco di Cirene (vedi  Catullo, Orazio; labor limae,  accuratezza formale). A Roma la fioritura del genere elegiaco si ha in età augustea con Cornelio Gallo, Tibullo, Properzio, Ovidio; l’elegia romana, rispetto a quella greca, presenta una maggiore componente soggettiva: l’esperienza personale del poeta è posta al centro della produzione elegiaca.

TIBULLO   (50 a.C.-19 a.C.)
TEMI POESIA TIBULLIANA: SERVITIUM AMORIS, EROTISMO, LA CAMPAGNA (ricerca del locus amoenus, della serenità bucolica), la pace, gli antiqui ac boni mores. Costante tendenza all’accuratezza formale, poeta doctus.
ELEGIAE I, 10     Distici elegiaci
Chi fu il primo che inventò le tremende armi? Quanto feroce e veramente duro egli fu! Allora (nacquero)  le stragi per il genere umano, allora  nacquero le guerre, allora fu aperta una via più breve della tremenda morte.
V.5)Forse quell’infelice non ebbe alcuna colpa, noi volgemmo a nostro danno, ciò che egli diede contro le bestie feroci? Ciò è colpa del ricco oro,  né ci furono guerre  allorché una tazza di faggio stava accanto alle vivande. Non roccaforti, non  palizzata c’era, e il pastore (dux gregis) del gregge cercava il sonno tranquillo tra le pecore multicolori. Magari la vita fosse stata  (foret= fuisset) a me allora, o Valgo (Magari fossi vissuto allora, o Valgo) e non avessi udito la tromba di guerra col cuore trepidante; V.13)ora sono trascinato in guerra e già forse qualche nemico porta i dardi che si conficcheranno nel nostro fianco.
v.15) Ma Lari paterni, salvatemi: voi stessi mi avete alimentato quando fanciullo correvo continuamente dinanzi ai vostri piedi. Né abbiate vergogna (vos pudeat: cong. esortativo)di essere stati fatti (factos esse) col legno antico: così abitaste le dimore del vecchio avo. Allora meglio mantennero la parola, quando con modesto culto un Dio di legno stava in un piccolo tempio. V. 21) Questi (il Dio) era placato sia che qualcuno avesse offerto uva, sia che avesse offerto corone di spighe per la sacra chioma, v.23) e qualcuno esaudito nel voto portava (ferebat) egli stesso le focacce e dopo la figlioletta accompagnatrice portava il puro miele.
[…] Ma Lari,  allontanate da me (da noi= nobis) le frecce di bronzo e un maiale dal porcile pieno (sarà) la vittima rustica. Io la seguirò (sequar) con una veste pura e porterò (geram) canestri cinti di mirto e  io stesso cinto il capo di mirto. V.29) Così possa piacervi (sic placeam vobis): un altro sia forte nelle armi e pieghi i condottieri nemici col favore di Marte (favente Marte= abl. assoluto) in maniera che un soldato possa raccontare  le sue imprese a  me che bevo (mihi potanti) e sulla tovaglia dipingere col vino (mero=vino nero) gli accampamenti. v.33). Quale furore è richiamare (accersere) la nera morte con le guerre? Ci sovrasta (inminet) e viene di nascosto col tacito piede. Non c’è messe laggiù, non  vigne coltivate, ma l’audace Cerbero e il turpe nocchiero della palude stigia; v.37) Lì (illic) la pallida folla con le guance dilaniate (percussis genis= abl.assoluto) e i capelli bruciati (ustoque capillo: abl. assoluto)erra verso i luoghi oscuri. V.39)Quanto piuttosto è da lodare (laudandus est: perifr. passiva) colui che dopo aver preparato la famiglia (prole parata: abl, assoluto)una pigra vecchiaia lo tiene in una capanna. Egli stesso segue (sectatur) le sue pecore, mentre il figlio gli agnelli e la moglie prepara  a lui stanco l’acqua calda (calidam aquam). Così io possa essere(sic ego sim) e (mi) sia lecito (liceat) imbiancare il capo  (candescere caput) di canizie (canis), e ricordare (referre) da vecchio i fatti del tempo passato. V.45) Frattanto la Pace coltivi  i campi. La candida Pace dapprima condusse i buoi  ad arare sotto il gioghi ricurvi, la Pace coltivò le viti e raccolse i succhi dell’uva affinché  la tazza paterna mescesse (ut funderet) il vino al figlio, durante la Pace il bidente e il vomere brillano: mentre la ruggine (situs) invade nelle tenebre le armi tremende del soldato. V.51) Il contadino ritorna (vehit) dal bosco col carro (plaustro), lui stesso poco sobrio, la moglie e la prole.
v.53) Ma allora si infiammano le guerre di Venere (le guerre d’amore) e la donna piange (conqueritur) per i capelli strappati (scissos capillos: accusativo di relazione, alla greca) e per le porte infrante (perfractas fores). v.55) Piange (flet)  con le tenere guance livide (teneras subtusa genas: accusativo di relazione), ma anche il vincitore piange lui stesso che le (sue) mani insensate abbiano avuto tanta forza (valuisse).
v.57) Ma l’amore lascivo offre (ministrat) alla contesa parole forti, e siede impassibile tra l’uno e l’altro irato (uterque-utraque-utrumque. Pron.e agg. indefinito) v.59) Ma è pietra e ferro colui che (quicumque: pron. e agg. indefinito) colpisce la sua fanciulla: dal cielo strappa gli Dei. Sia abbastanza strappare dal corpo la tenue veste (rescindere vestem), sia abbastanza avere sciolto (dissoluisse) l’acconciatura della chioma, sia abbastanza aver suscitato le lacrime (movisse lacrimas): quattro volte beato colui per il quale irato (quo irato) una fanciulla possa piangere (potest flere).v.65) Ma colui che è crudele con le mani, questi  porti (is gerat) lo scudo e il bastone e sia  lontano dalla mite Venere. Ma  vieni a noi, o Pace alma, e possa tu tenere in mano la spiga (teneto: imperat. futuro) e la candida veste (candidus sinus) trabocchi (perfluat) di frutti davanti a te.